Alberto Pian

URBAN CENTRAL STUDIO, QUANDO GIOVANI ARTISTI SCRIVONO E PUBBLICANO I LORO PROGETTI MUSICALI

Da qualche tempo lavoro con Urban Central Studio di Torino, una fantastica e incredibile realtà che permette a giovani artisti di esprimersi attraverso la propria musica. Luca Rigon mix e master engineer, il titolare dello studio, con i producer e mixer engineer Bruno Reggiani, Nicholas Gramaglia (Nick), Tomas Kunze. Stiamo creando storytelling, documentazione foto, video, podcast, eBook per poter sostenere e lanciare al meglio questi giovani artisti che si rivolgono a Urban Center Studio pieni di talento che compongono e registrano la loro musica in studio. È una esperienza travolgente, le ore volano e conoscere tutti questi artisti e i loro produttori ed engineer, con gli occhi limpidi e una passione che li anima è una delle cose migliori che mi siano mai capitate.

Riferimenti: www.urbancentralstudio.com | podcast (in allestimento): www.rss.com/it/podcasts/urbancentralstudio | www.youtube.com/c/UrbanCentralStudio | info@urbancentralstudio.com

Parla Luca Rigon. “Una convergenza di storie”

Lo studio è un luogo in cui convergono diverse storie ed esperienze di artisti, da giovani emergenti a professionisti affermati. Il suo potenziale è di essere un’ “antenna” che riceve e propaga queste narrazioni. A esempio, l'”Artist Lab” va proprio in questa direzione. L’Artist Lab è un giorno al mese in cui lo studio è aperto a chiunque voglia far ascoltare la propria musica, creare networking, scambiare idee. È un modo per creare una comunità, per far sentire che non si è soli nel proprio percorso artistico. È anche un modo per stabilire nuove connessioni.

La qualità più importante di Urban Central Studio è proprio questa, che ci piace quello che facciamo, ci appassiona la musica e ci teniamo davvero agli artisti con cui lavoriamo. Non siamo un’etichetta discografica nel senso tradizionale ma ci impegniamo a seguire un numero limitato di progetti all’anno per poter dare il massimo. Vogliamo essere un punto di riferimento valido e affidabile in un mondo musicale spesso frenetico e superficiale.

Fra i cambiamenti che incidono nel concept del RAP e degli studi di registrazione, ho rilevato che il genere RAP è passato da un movimento culturale di nicchia a un fenomeno mainstream, con una conseguente omologazione dei temi trattati. Inoltre l’influenza dello streaming e della cultura del singolo rispetto al concept album sono un aspetto rilevante di questo cambiamento. Oggi quindi gli artisti emergenti da un lato si devono proporre nei diversi canali per non essere “consumati” e per toccare il più vasto pubblico e, d’altro, questa presenza deve però avere lo scopo di mettere in luce il valore della loro produzione, la sua unicità e “personalità”.

Per questi motivi c’è bisogno di una sorta di narrazione globale, a tutto campo, multicanale e integrata, che investa anche l’immagine, la narrazione sociale, che parli dell’artista, che ne trasmetta la sua “anima” al pubblico.
Questa tendenza si incontra poi con la necessità di Urban di far conoscere le specificità e le qualità di cui abbiamo parlato all’inizio, sia ai potenziali artisti che al pubblico stesso.
Da queste convergenze nasce l’idea di un progetto globale di storytelling per lo studio, come primo passo per proporre agli artisti ulteriori servizi in un’ottica globale di cura e supporto che rappresenta la filosofia dello studio.


Parla Nicholas Gramaglia. “Cercare la libertà creativa”

Avevo una mentalità troppo da “artista”, troppa voglia di fare musica e andare in barca, poca voglia di studiare le materie scientifiche. La svolta è arrivata quando ho scoperto il liceo musicale a Vercelli. Ho iniziato a studiare seriamente la storia della musica, l’armonia e ho intrapreso lo studio del violino. Sveglie all’alba e tanti chilometri  ma ho finalmente trovato la mia strada.
Ho imparato le regole fondamentali della composizione e dell’esecuzione, anche se poi ho capito che nella musica è importante conoscere le regole per poterle poi superare. La musica classica richiede un approccio molto rigoroso. Devi essere il più fedele possibile all’originale prima di poter sperimentare.
Poi ho conosciuto il Jazz, ho fatto parte di un’orchestra jazz, ho avuto delle belle esperienze e ho suonato con persone importanti. Ma il Jazz non mi dava la libertà creativa che cercavo rispetto la musica classica: era sempre legata alle strutture “standard”.
Così ho deciso di iscrivermi al Conservatorio per seguire il corso si “musica elettronica.” Lavoravo con il suono e le tecnologie digitali in modo libero e inaspettato. È così che ho lasciato il jazz e anche un pò per la scomodità di spostarmi da Torino per suonare.


Parla Bruno Reggiani. “Mi piace partire da zero”

I progetti che mi entusiasmano di più sono quelli che nascono da un’idea embrionale, da un testo abbozzato, da una semplice linea melodica. Ecco, i questi casi il lavoro è ancora più stimolante, perché possiamo creare qualcosa di completamente nuovo partendo da zero.
In tutti i casi lavoro sempre a stretto contatto con questa nuova generazione di musicisti. Percepisco chiaramente la loro fame di esprimersi, la loro ardente passione per la musica e la loro incontenibile voglia di sperimentare e di raccontare le proprie storie. È un’energia vitale, assolutamente contagiosa. Però spesso quello che manca è una solida base di conoscenza musicale. Non per mancanza di impegno, ma per naturale inesperienza. Questo è un punto cruciale ed è qui che entro in gioco cercando di colmare queste lacune, spiegando in dettaglio che cosa fare e come farlo e, soprattutto, che cosa ci può essere dietro ogni singola scelta sonora.

Qui in studio posso seguire un progetto dalla base musicale alla registrazione delle voci e degli strumenti, al minuzioso processo di mixaggio, fino al vocal coaching. Come vocal coach posso seguire gli artisti anche nella creazione delle liriche, delle linee vocali, e delle armonizzazioni. E credo fermamente che nel panorama italiano manchi proprio questa figura, una figura che sappia unire la competenza nella produzione con un completo supporto artistico.
Io sono un tipo pignolo: curo ogni minimo dettaglio, dalla pronuncia alla dinamica, all’intonazione. Lo faccio perché conosco il potenziale di ognuno di questi ragazzi e li spingo sempre a dare il massimo. Il mio lavoro è anche di trovare la chiave musicale più adatta a ciascuno di loro, quella che esalta al meglio le loro caratteristiche uniche. E devo dire che, con grande soddisfazione, osservo notevoli miglioramenti nei ragazzi che seguo da più tempo: hanno talento, una grandissima voglia di imparare e di crescere!


Parla Tomas Kunze. “Coccolare gli artisti”

Il RAP è sempre stato presente: i ragazzi che passavano in auto con il RAP a tutto volume, quel RAP di rivalsa, un po’ crudo. Qualcuno arrivava all’oratorio con la cassa e metteva RAP, non certo musica pop. Ma scoprire che si poteva “fare RAP” è stata un’altra cosa.
A 15 anni un amico mi propose di creare uno studio di registrazione nella fabbrica di tessile di suo padre a Valle Mosso. Avrei dovuto mettere la mia parte di 100€ a testa. Era una cifra enorme all’epoca ma un giorno, con un gruppetto di amici ,trovammo 350€ per strada e li dividemmo. Insonorizzammo la stanza, mettemmo dei pannelli, e nacque il “Salon Studio”. Per arrivarci bisognava attraversare il capannone dei telai della fabbrica. La voce si sparse rapidamente. Il sabato e la domenica la fabbrica si illuminava e diventava un hotspot per i giovani rapper. Avevamo anche un tavolo da ping pong in mezzo ai telai, un’immagine surreale ma bellissima. Si formava la nostra prima fanbase.

Oggi la musica è satura, come il cinema. C’è il prototipo del brano melodico, del “banger” RAP, e tutti fanno la stessa cosa. Noi cerchiamo di creare qualcosa di differente – pur mantenendo i canoni – ma con un “non so che” che li rende speciali. Ci sono giovani che pensano che il successo sia immediato, ma non è così e anche se fosse così, poi non dura. Molti artisti di successo immediato poi si deprimono perché non sanno più che cosa raccontare. Io penso che agli artisti italiani servano dei producer che li “coccolino”, cioè he li aiutino a tirare fuori il meglio, a far diventare il loro pezzo un “otto o un nove” invece di una sufficienza.



© tutte le foto di Alberto Pian

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