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Merce di Scambio, podcast di inchiesta. Apple Podcast e qui sotto in Spotify e poi si trova in altre piattaforme.
Parla Teresa Potenza
Merce di scambio è una indagine giornalistica nel mercato sommerso della compravendita di organi umani.
È basato su una storia vera: quella di Nisreen, una donna siriana emigrata in Libano in seguito alla guerra civile scoppiata nel 2011. Lì, per una serie di circostanze si ritrova senza nulla, proprio nel momento in cui suo marito resta vittima di un rapimento.
Per uscire da quella situazione estrema, Nisreen fa una scelta altrettanto estrema: vende un rene in cambio di soldi.
Questa storia, che fa da sfondo a tutto il podcast, è stata per me l’occasione per andare oltre: cioè per entrare nel mondo della compravendita di organi, grazie anche ai contributi di professionisti esperti in diversi settori. E ci offre anche l’opportunità di esplorare le alternative, di capire com’è possibile evitare che questo mercato continui a crescere – e questo, secondo me, è la vera ricchezza di Merce di Scambio.
Primo fa tutti, organizzare le telefonate con la protagonista, che al tempo viveva in un campo per i rifugiati e non possedeva una connessione internet. E poi la verifica delle informazioni che avevo avuto dalla protagonista. Un altro tema cruciale è stato quello della sicurezza delle fonti, che avevano bisogno di mantenere l’anonimato.
Anche la scelta del formato narrativo non è stata scontata.
Con podcast come questi non è possibile procedere in modo spontaneo, perché vanno messi insieme tutti questi elementi e poi inserite le voci diverse che integrano il racconto: è quindi estremamente importante avere un progetto e dei copioni per ciascuna puntata.
Naturalmente mi sono imbattuta in diversi problemi, oltre a quelli insiti in ogni indagine giornalistica, ci sono stati quelli connessi alla decisione di portare avanti il progetto in in modo indipendente.
Ecco qualche esempio di difficoltà nelle quali mi sono imbattuta: non avere una grossa testata alle spalle significa sentirsi dire più spesso “No” e trovare molte porte chiuse, che quindi bisogna cercare di aprirle in modo estremamente abile e diplomatico.
E poi la questione risorse: il lavoro dietro le quinte di Merce di Scambio è durato mesi e la scelta di non avere un editore ha implicato non avere alcun tipo di entrata economica.
Ma grazie alla piattaforma Podstar.it ho potuto trovare un’alternativa, cioè quella della raccolta di finanziamenti da parte di privati e sponsor: e così il podcast è stato realizzato proprio grazie al contributo di tante persone, che hanno creduto in un progetto di giornalismo indipendente.
Al tempo stesso però, i vantaggi di restare indipendente hanno bilanciato tutti gli svantaggi: credo che sia estremamente importante, per esempio, avere la totale libertà di scelta nel condurre un’indagine di questo tipo, senza alcun tipo di pressione – come quelle relative a quali esperti intervistare o a come raccontare la storia.
La scelta della forma narrativa, dello stile e del registro del racconto è infatti importantissima e per me era essenziale sceglere quella che ritenevo più adatta, più rispettosa della protagonista. Una storia come quella di Merce di Scambio si presta moltissimo a essere narrata in una forma estremamente sensazionalistica, con il rischio di sminuire o comunque di mettere in secondo piano le fonti, per dare invece luce e lustro a chi racconta la storia. E non volevo che accadesse questo.
Sul piano della creazione di un podcast credo che le cose da dire potrebbero essere molte, ma qui vorrei focalizzarmi sulle tre più importanti.
La prima è senza dubbio formarsi. C’è tanta gente in giro che ti dice che per fare podcast ti basta un microfono e qualcosa da dire. Beh, è un po’ più complesso di così. Studiare, imparare e poi aggiornarsi continuamente è quello che fa la differenza.
E poi avere chiaro il perché si sceglie di fare un podcast e che impatto vogliamo avere nel mondo realizzandolo: tenere insomma sempre a mente la nostra missione.
Infine fare rete: non isoliamoci e connettiamoci con altri podcaster. Avere un netwrok su cui contare ci farà crescere a livello professionale e personale.
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