Alberto Pian

LA “BELLA SALUMIERA”. PERSONAGGI E CONTESTI, ÉMILE ZOLA, IL VENTRE DI PARIGI

La descrizione della “bella Lisa” presenta un aspetto assai curioso, che salta subito agli occhi. La ragazza infatti si confonde con la mercanzia esposta nella sua bottega. Parliamo del rapporto fra contesto e personaggio.

Un gioco di significanti che esprime dei contenuti

La sua pelle e la sua carne giovane e fresca trovano corrispondenze – non proprio poetiche ma molto letterarie – con le carni e gli insaccati esposti. Quella utilizzata da Zola è una tecnica magistrale di descrizione basata sulla confusione di nature diametralmente opposte tra loro (carni umane e carni commestibili), a partire da un elemento simbolico comune: la carne.

La carne pura e semplice, intesa solo come pura forma, come concetto astratto, diventa un simbolo (significante), attorno al quale ordinare tutti i significati che perdono in questo modo la loro specificità.

Così, che la carne descritta sia quella di una giovane salumiera in “carne” ed ossa, non ha alcuna importanza. Ciò che conta è che sia “carne”, che la parola stessa sia la medesima che nomina la mercanzia esposta, anch’essa fatta di carne, appunto.

La carne svuotata del suo contenuto, come vuoto simbolo, è dunque l’elemento che permette di impostare una descrizione letteraria molto particolare basata sul fatto che tutti gli elementi perdono le loro differenze.  La descrizoione, apparentemente mlolto realistica, acquista invece degli aspetti surreali o irreali.

Leggendo il passo di Zola sembra di entrare in una salumeria, in realtà si entra nell’immaginario simbolico dell’autore stesso, nelle sue corrispondenze fantastiche. Non è più il salumiere l’oggetto della descrizione, ma il gioco di corrispondenze che parte dalla carne per tracciare collegamenti con tutto ciò che, indistintamente, è carne o comunque oggetto commestibile. Si giunge così al risultato finale che la bella salumiera non sia altro che un pezzo di salsiccia, un bel prosciuttone e viceversa che il prosciutto sia quasi un elemento dotato di vita e di anima. Il simbolo unifica sotto di se tutti i significati, li ingloba tutti per annullarli contemporaneamente, per farli apparire come, indistintamente, carne. Carne e basta.

Le possibilità di integrazione fra contesto e personaggi

Normalmente il meccanismo di antropomorfizzazione riguarda l’attribuzione di caratteristiche umane a elementi che non sono umani. Qui avviene il contrario, è la stessa salumiera che che si confonde con i suoi prodotti. Questo ci induce a parlare del «contesto» e delle sue influenze sull’uomo. Il rapporto soggetto – contesto è rilevante in qualsiasi storia, anche per il semplice fatto che non ci sono storie senza contesto, l’umanità nasce e vive in determinati contesti che la forgiano fin dalla nascita. Questo è banale e risaputo.

Quello che invece non è banale è capire in che modo il contesto entra in una storia. L’autore è di fronte a una scelta molto ampia. Può ignorare decisamente il contesto, focalizzando l’attenzione solo sui personaggi. Pensiamo, a esempio, a Vladimiro e Estragone in Aspettando Godot, la celebre opera di Samuel Becket che appartiene al filone del teatro dell’assurdo. Vladimoro ed Estragone conversano in un contesto del tutto irrilevante ma, allo stesso tempo, questo contesto irrilevante e vuoto rappresenta qualsiasi contesto, è la chiave universale del contesto stesso, ne è il simbolo poiché il vuoto è ovunque.

Al polo opposto abbiamo invece la perfetta integrazione fra personaggi e contesto fino al punto di confondersi, proprio come avviene in chiave paradossale nel brano di Zola che riportiamo qui sotto e che parla di uomini e vegetali, anch’esso tratto da Il ventre di Parigi.

873Incipit de Il Venere di Parigi, Èmile Zola,

Una serie di sfumature possibili

Fra questi due poli esiste una gradazione, di molteplici sfumature:

  • considerare il contesto come ornamento descrittivo per una narrazione estetica; sottolineare degli aspetti particolari per far comprendere maggiormente l’influenza che il contesto esercita sull’insieme della narrazione e sui personaggi;
  • considerarlo un puro sfondo in cui l’interesse deve essere catturato dall’azione che occupa la scena;
  • assumere il contesto come elemento di contrastro in rapporto ad altri contesti che variano lungo il piano narrativo e che si pongono in conflitto fra loro determinando anche diversi comportamenti dei personaggi;
  • considerare il contesto come legato ai personaggi per metterne in risalto – o semplicemente far percepire, accennare – al gioco dei sentimenti e delle passioni che li caratterizzano;

e così via.

Questa scala non è meccanica. Come dico spesso, le scelte dipendono dalla sensibilità dell’autore in rapporto a ciò che vuole raccontare e non a considerazioni strutturali o modelli da seguire.

Ecco il brano di Zola.

«La bella Lisa rimase in piedi dietro il suo banco, tenendo il capo un po' girato dalla parte dei mercati, e Florent la contemplò muto, meravigliato di vederla così bella. Fino aquel giorno non l'aveva mai guardata con attenzione, lui non sapeva guardare le donne. Lisa gli appariva al disopra dei cibi sul banco. Davanti a lei erano esposti, in piatti di porcellana bianca, i salami di Arles e di Lione già intaccati, le lingue e i salsicciotti lessi, una testa di maiale, affogata nella gelatina, un vaso di acetini aperto, e una scatola di sardine scoperchiata, dove si vedeva un lago d'olio: poi a destra e a sinistra, sopra ripiani di legno, c'erano forme di formaggio d'ltalia, e di caciocavallo, un prosciutto color rosa pallido, uno di York dalla carne sanguigna sotto uno strato denso di grasso. C'erano inoltre piatti tondi e ovali, con la lingua ripiena, la galantina tartufata, la testa di cinghiale al pistacchio, e accanto a lei, in terrine gialle, il vitello lardellato, il pasticcio di fegato e di lepre. Siccome Gavard non arrivava, per passare il tempo sistemò il lardo sul ripiano di marmo all'estremità del banco, spinse in avanti il vaso dello strutto, perché fosse allineato al vaso del grasso di arrosto, ripulì i piatti della bilancia, avvicinò la mano alla stufa per sentire se lo scaldavivande si era raffreddato e, sempre silenziosa, girò di nuovo il capo e tornò a guardare verso i mercati. Il profumo dei cibi era diffuso nell'aria, e lei era come sopraffatta, in quella sua calma grave, dall'odore dei tartufi. Quel giorno Lisa era di una meravigliosa freschezza.
Il grembiale e i polsi avevano lo stesso candore dei piatti di porcellana; sul collo tornito e sulle guance rosee rivivevano i toni teneri del prosciutto e il pallore dei grassi trasparenti. Florent man mano che la guardava si sentiva intimidito, turbato. Finì per esaminarla sbirciandola negli specchi tutt'intorno. Lei vi si rifletteva di fianco, di schiena, di faccia e, se alzava gli occhi al soffitto, Florent ritrovava un'altra Lisa con la testa bassa, lo chignon stretto e le sue piccole bande incollate alle tempie.
Erano tante Lise, che mostravano la larghezza delle spalle, l'attaccatura poderosa delle braccia, e il seno arrotondato, inerte e teso, da non risvegliare neppure l'ombra di un desiderio carnale. Sembrava piuttosto un ventre. A Florent piaceva più di ogni altra espressione un profilo che era lì, in uno specchio, accanto a lui tra due metà di porco.
Lungo i marmi e gli specchi agganciati ai denti delle rastrelliere, pendevano maiali, lardi e lardelli e il prorilo intero di Lisa, con quel suo aspetto vigoroso, le curve spiccate, il seno prominente, in mezzo a tutti quei lardi e a quelle carni crude, pareva una immagine di opulenta regina. Poi la bella salumiera si chinò, e sorrise amichevolmente ai due pesci rossi che nuotavano nell'acquario della vetrina.»
(Émile Zola, Le ventre de Paris, 1873, Il ventre di Parigi, Rizzoli, 1975, trad. Maria teresa Nessi)


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