Povere Creature Yorgos Lanthimos, 2023. Anche il contenuto più perverso e barbaro può essere mascherato e annullato da una composizione estetica. Ecco il film perfetto per la “cultura di massa”.
Il valore della bellezza
Prima questione, l’Arte è assolutamente libera e ogni artista può esprimersi liberamente senza tenere conto di alcuna convezione sociale, morale, politica, religiosa.
Seconda questione, l’estetica è una componente della bellezza dell’opera e la ricerca estetica della bellezza è una componente artistica.
Questo significa che è sempre apprezzabile e mai discutibile la libera ricerca di un gusto estetico, della bellezza, da parte dell’autore. Nel cinema questo significa riservare una particolare cura alle inquadrature, alle angolazioni di riprese, alle focali degli obiettivi, al montaggio, alla fotografia, al grading, ai costumi, ai più piccoli dettagli, eccetera, eccetera. Anche la bellezza fine a se stessa può essere uno scopo dell’opera cinematografica che mette insieme una storia anche semplice, forse anche già consumata, ma riportata attraverso il concept di una straordinaria bellezza.
In Povere creature è evidente l’aspetto stilistico del film. Questa bellezza non si mostra solo attraverso la composizione delle immagini in bianco e nero e a colori, la loro rappresentazione con l’uso di focali grandangolari alternate a inquadrature più strette, a loro volta combinate a piani di ripresa e a punti di vista diversi, dall’alto, dal basso, da un lato, e poi dal loro ordinamento equilibrato in sede di montaggio. Questa particolarità combinatoria è chiaramente riuscita, non ci sono discrepanze Al massimo si può dire “mi piace”, “non mi piace”, ma non si può contestare la tecnica. La tecnica della rappresentazione riesce perché c’è equilibrio estetico fra le diverse componenti, anche se sono molto diverse tra un’inquadratura e l’altra e tra una scena e l’altra.
Trailer ufficiale dal quale potete apprezzare il valore estetico del film.
Nel risotto c’è una cacchetta di topo
Se la storia fosse solo una rappresentazione estetica, la dimostrazione di forza e di competenza dell’autore, potremmo sviluppare un discorso dettagliato su questa composizione per mostrarne le caratteristiche e dire, appunto, “mi piace o “non mi piace” e “osservate questo dettaglio”, “analizziamo questa inquadratura” e la cosa finirebbe lì, con tutte le forme di ispirazione che altri autori e artisti potrebbero ricavare da questa lezione.
Se ci occupassimo del film in questo modo, cioè nel modo in cui il film stesso vorrebbe che ce ne occupassimo, copriremmo la questione centrale che questa storia nasconde e che vuole nascondere fin dall’inizio, poiché il fulcro di questo film, a dispetto di ciò che appare, non è la forma estetica con la quale la storia viene rappresentata, ma è proprio la storia. La storia è una vera e propria operazione costruita per essere mascherata e nascosta, per fare in modo che il pubblico la ignori, ignori il suo punto essenziale, determinate e si lasci guidare dall’estetica delle immagini. È come essere a cena in un ristorante stellato al massimo possibile delle stelle Michelin. Arredi perfetti, luci studiate e perfette, vasellame impeccabile, posate, cristallerie, camerieri, direttore di sala, ambiente esterno, impiattamento perfetto, tutto meravigliosamente estetico e appagante. Anche il cibo sembra eccellente e gustoso, i sapori salgono al palato, si diffondono anche nelle narici, persistono e si mescolano fornendo un’esperienza ineguagliabile.
Solo che a un certo punto viene servito un risotto che sembra un trionfo per la sua combinazione di gusto, materie prime e composizione estetica e in tutta quella bellezza che colpisce tutti i sensi, troviamo una piccola, insignificante, minuscola, cacchetta di topo.
Che cosa fareste?
Che cosa fate? In nome di tutta quella bellezza avvolgente mettete da parte quella minuscola cacchetta di topo e continuate a mangiare? O forse neppure ve ne accorgete? Oppure respingete il risotto e proseguite con le altre portate? O andate via?
I commensali di quel ristorante siete voi, siete il pubblico che consuma le opere destinata alla “comunicazione di massa”, al pubblico che deve continuare a consumare, a immergersi in una estetica che nasconde cacche di topo, a non vedere le cacche di topo, a ignorare tutto ciò che di disgustoso la società nella quale vivete produce a ripetizione, per continuare a essere “pubblico”, consumatore di opere di intrattenimento che vi abbindolano, vi impegnano il cervello altrove, ovunque, tranne che sull’essenziale.
Povere creature è esattamente quello che ho scritto: un risotto in un ristorante stellato con una cacchetta di topo non troppo in vitsa, piccolina, molto nascosta e coperta da un’apparato estetico sfolgorante.
Sapete qual è questa cacchetta di topo?
L’avete individuata? No?
Be’ si tratta di una componente della narrazione, ovviamente, non di una componente del linguaggio, ma proprio della storia, è un punto preciso della storia a partire dal quale tutte le riflessioni devono per forza cambiare, quale che sia il punto di vista, lo sguardo sull’opera. Una cacchetta di topo è una cacchetta di topo. È quella cosa a partire dalla quale, nel momento in cui la notate, tutto cambia, necessariamente. È quel preciso momento in cui i problemi ai quali siete posti diventano nuovi, impellenti e esigono una risposta, un’azione: restate o andate? “Should I stay or should I go now?” (The Clash, Combat Rock, 1982).

Tutte le vicende collaterali non valgono nulla di fronte alla “cacchetta”
Se non lo avete capito non ve lo dico ancora. Vi dico invece che ho sentito storie incredibili e assurde su questo film.
Un tizio molto quotato in YouTube, per esempio, è rimasto estasiato dal fatto che si tratti di una storia di “emancipazione” (sic!) di una ragazza che conosce il mondo sperimentando e vivendo e del suo “padre – creatore” che infine la lascia libera (bontà sua), e quindi mostra tutta la “comprensione” di incarnare il vero “ruolo paterno” (doppio sic!). Immensa stupidaggine che, tra l’altro, ridurrebbe tutto il film a una storia di formazione vista e rivista per la quale ci si chiede se sia davvero necessario mettere in piedi tutto quell’apparato estetico per raccontare una cosa così piccola, priva di qualsiasi spessore psicologico, che mostra solo, da quel lato, un seduttore in crisi per non essere riuscito a dominare una ragazza e quindi, ovviamente, destinato al proprio abbrutimento morale e fisico; oppure, da un altro lato, vorrebbe raccontare di un marito . padrone che rivuole la sua moglie – schiava (merita un altro Sic!).
Come dicevo prima se queste fossero le storielle alla base, ci concentreremmo esclusivamente sull’estetica del film. Ma c’è la cacchetta di topo e non lo possiamo fare poiché tutto questo e tutto il resto passano in secondo piano.
Avete individuato questo piccolo escremento nel risotto stellato?
Vediamo se ci siete riusciti.

Una cosa aberrante e inaccettabile che ci conduce alla barbarie
Tutta la narrazione si riduce al minuto 00:23:00, quando God, il creatore di creature con organi cuciti alla rinfusa fra loro, spiega al suo pupillo che aveva trovato il cadavere, ancora caldo e ben conservato, di una donna incinta che si era suicidata.
God spiega: “Il Fato mi aveva procurato un cadavere e un neonato tutto mio.” Niente male come forma di onnipotenza per uno che, del resto, si chiama God. Ma notate che questo God, qualche secondo prima aveva detto “Chi ero io per decidere il suo destino?” Quindi, God o non God? Boh! A parte queste incongruenze di cui il testo è pieno, l’essenziale arriva proprio a questo punto, a 20 minuti dall’inizio: “Ma poi ebbi anche una palese rivelazione, le mie ricerche mi avevano condotto a quel momento. Il Fato, ecc.” e quindi dice: “Fu tutto chiaro, dovevo espiantare il cervello del bambino e impiantarlo nella donna, rianimarla e osservare.” Seguono le immagini di questo “trapianto” e il pupillo chiede: “Lei lo sa?”, risposta di God: “Nooo.” “Chi è?” Chiede il pupillo, “Non ne ho idea ma, preferireste che al mondo non ci fosse Bella?” Risponde God (Bella è il nome della trapiantata).

Quindi Bella è proprio la bellezza che preferiremmo esistesse nel mondo. Il piano della discussione viene traslato su un elemento secondario, poiché quello primario è esattamente il trapianto, sul quale tutto il resto fa finta di nulla, come se il trapianto non fosse mai esistito. A una donna incinta morta viene tolto il cervello e viene estratto il fato, quindi il cervello di questo feto, cioè del figlio – feto di questa donna, viene inserito nella sua testa.
La madre vive con il cervello di sua figlia, un feto non ancora nato.
Immaginate di avere una figlia. Vostra figlia è incinta e muore. Il cervello di vostra nipote, del feto di vostra nipote, sostituisce quello di vostra figlia e voi avete una figlia – nipote adulta con il cervello di un feto.
Non è aberrante? Mostruoso? Inconcepibile? Non è qualcosa che assomiglia a una specie di incesto, a un atto disumano, che travalica qualsiasi etica e conquista biologica? Come reagireste di fronte a vostra figlia – nipote? E, prima ancora: avreste accettato questa specie di “operazione?
Tutto il resto non conta niente
È questo il cuore del film, tutto il resto non conta niente. Tutte le storie secondarie, le vicissitudini di Bella non contano nulla di fronte all’evento fondate, all’evento dove tutto ha origine e che pone una quantità strabiliante di domande, di questioni, di riflessioni etiche e non solo. Ma al film, come al risotto stellato dello chef, non gliene può fregar di meno della “cacchetta” che si trova nel piatto, poiché tutto il resto è perfetto e il commensale morirà nella visione estetica del ristorante da privilegiati nel quale il piatto è servito.
La storia non esiste più, ma tutto il concept di bellezza della sua rappresentazione visiva porta il pubblico altrove, a ignorare l’unico evento che conta davvero in questa storia e cioè la cacchetta di topo nel risotto, il trapianto – incesto. Ovviamente Bella non sa nulla di quanto accaduto perché, altrimenti, non ci sarebbe più il film, la cui narrazione si sviluppa esclusivamente sul piano dell’estetica delle immagini. Non ci sono temi legati all’abominevole trapianto, non ci sono sviluppi di alcun tipo, approfondimenti psicologici, relazioni psicologiche tra personaggi. Non esiste, in tutto il film, l’espressione di un qualsiasi sentimento e, direi, neppure di emozioni se non quelle costruite per catturare il pubblico sul piano visivo, ma non relative al contenuto della storia.
È una storia che parte da una grande storia possibile, ì per ignorarla, per non prenderla neanche in considerazione.

È la cultura di massa baby: estetizzante e vuota
E, tuttavia, io una spiegazione la dò.
In questo mondo di distruzione e di barbarie, dove l’unica economia concepibile è un’economia di guerra, dove l’annichilamento dell’essere umano, del suo ambiente naturale, del pianeta stesso, rappresentano la strada maestra seguita da un sistema, quello capitalista, ripugnante, per il quale “burro o cannoni” sono la stessa identica cosa, la cacchetta di topo del film rappresenta proprio questa barbarie, la barbarie del sistema che si presenta con una bella facciata (il risotto stellato). L’ideologia dominante, la comunicazione di massa dispensata per intrattenete lo stesso pubblico che si vuole massacrare e ridurre a carne di cannone, ti presenta un mondo differente, dove la potenza dell’effimero, dell’estetica fine a se stessa, passa sopra qualsiasi terrificante operazione anti umana per distogliere il pubblico dalla vera questione che non è il risotto stellato in piatti di porcellana, ma la cacchetta quasi invisibile che viene nascosta.
Non so se il regista, cioè l’autore (non ho letto il romanzo, in realtà bisognerebbe dedicare un esame preciso anche al testo del romanzo), abbia voluto creare quest’opera per mostrare a tutti come la “cultura di massa” dominante cerchi di rendere stupido il pubblico con effetti speciali, storie banali e una quantità di risotti in fondine di porcellana. Penso proprio di no, altrimenti la storia sarebbe stata diversa, avrebbe avuto un minimo di spessore, avrebbe aiutato il pubblico a porsi delle domande e a riflettere. Ma, alla fine, le intenzioni dell’autore non contano. Quello che conta è il messaggio o, piuttosto, la questione centrale: vi rendete conto di vivere in una società che sfonrna risotti stellati con cacchette di topo? Vi rendete conto che le cacchette di topo che affiorano dal piatto sono, in realtà, molto più grandi e potenti di qualsiasi risotto stiate mangiando? Di più: vi rendete conto di vivere in una immensa discarica piena di cacchette di topo che soffocano qualsiasi bellezza?
Perché questo è il mondo oggi, non altro.
Povero Lanthimos, povera creatura!
Peccato che Lanthimos sia egli stesso vittima di questa allucinazione estetizzante che gli impedisce di vedere la realtà. Ma, alla fine, è un problema suo poiché a noi quella cacchetta nascosta fa riflettere e si sa che riflettere criticamente è la prima cosa che suscita azioni e perciò permette di cambiare il mondo.
Quindi, quando entrate in un ristorante, stellato o meno, che sia davvero un ristorante oppure la metafora del mondo nel quale vivete, non fatevi abbacinare dagli estetismi, il cui scopo è addormentare i vostri neuroni, la vostra disposizione critica e, infine, la vostra stessa azione.
Così come il design non si riduce a una bella e funzionale forma, la bellezza non è solo una scelta estetica.
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