Laura Pigozzi
Laura Pigozzi, (www.laurapigozzi.com | www.laurapigozzi.it | podcast: www.rss.com/podcasts/dottoressalaurapigozzi) è psicologa e psicoanalista, pubblica libri e articoli, partecipa a conferenze e programmi radio televisivi, svolge formazioni per organizzazioni e istituzioni. Però Laura non è solo la professionista che il pubblico conosce e che apprezza.
Laura ha una "passione sfrenata" i fiori che, come dice, le hanno insegnato a relazionarsi con gli altri quando lavorava per i fiorai dei cimiteri da adolescente. Me è anche cantante jazz e insegnante di canto, redattrice ed editorialista, creatrice di contenuti, autrice di articoli. Laura è pittrice e dedica sempre del tempo ai suoi quadri, così come è musicista e dedica del tempo al pianoforte, agli animali, i suoi cani e gatti, il giardino, la natura dove si immerge sempre e dove ne cura certi prodotti. Questi non sono aspetti secondari in rapporto alla sua professione. Vedrete perché ne parlo. Ma, intanto Laura si occupa di molti temi che hanno a che fare con le persone e il sociale.
Per esempio, il suo libro A nuda voce esplora proprio il legame tra voce, inconscio e sessualità, che è un tema di grande interesse per chiunque lavori con la voce, dai podcaster ai conduttori radiofonici. Oppure l’ultimo che ha pubblicato, L’età dello sballo, investe diversi campi e tematiche che rappresentano anche il suo profondo interesse per tutto quello che avviene nel sociale.
Naturalmente il suo punto di vista, condivisibile o meno non importa qui, è psicologicamente orientato dalla sua professione, ma la psicologia è uno strumento di analisi, di comprensione che arricchisce un interesse storico e preesistente di Laura verso il mondo, verso le persone e il sociale.
E poi la sua attività si estende al mondo del podcasting, dove riesce a creare un legame particolare con il suo pubblico, una connessione basata sulla voce, che diventa un ponte tra lei e la sua “community” (non è un termine proprio esatto, perché oggi è legato a operazioni di mercato, ma lo assumiamo giusto per intenderci).
Il valore poliedrico del soggetto umano
Che cosa voglio dire con questo?
Che quando abbiamo pensato a inquadrare il suo storytelling la chiave di partenza non è stata la sua professione che, per quanto importante, è solo uno degli aspetti di interesse della figura di Laura. Discutendo insieme a lei e suo marito Enrico una sera di qualche anno fa in montagna, è stato naturale trovare il filo rosso ispiratore: “Appassionata di umanità”, perché questo è davvero ciò che la rappresenta, come Enrico diceva giustamente (l’idea è nata da lui proprio durante questa discussione). Da questa passione discende anche la sua professione e non il contrario.
Voglio parlare proprio di questo perché è una questione rilevante in assoluto e lo è dal punto di vista dello storytelling e della comunicazione mediatica odierna.
La spiego così: tu svolgi un lavoro, una professione. Perfetto. Discutiamo del tuo storytelling, cioè del modo migliore che più ti rappresenta nei vari canali, (non parliamo di marketing, attenzione!).
La domanda è questa:
“Sei davvero sicura/o che tutto debba essere centrato sul tuo lavoro? Che tu sia Architetto o Chef, Artigiano o Insegnante… siamo sicuri che il tuo storytelling deve ridursi a questo? Qual è la fonte della tua passione o, meglio, delle tue passioni? Siamo sicuri che la tua presenza sociale debba coincidere con quella di un tecnico che impiega strumenti determinati? La tua persona, la tua figura, tu stesso, sei uno strumento di tecniche che hai appreso ed è su questo che giochi la tua presenza?”
Personalmente non ho mai condiviso questa posizione.
Tranne che in pochissimi e rari casi, non mi piacciono gli influencer e i professionisti di Instagram e TikTok. Nella maggioranza sono solo costruite operazioni di mercato che poi, come capitato a qualcuno anche di molto famoso, rischiano di essere svelate per la loro povertà, sete di denaro e meschinità (e imbrogli).
Ovviamente per percorrere la prima strada devi incontrare le persone “giuste”, consapevoli che l'”umanità” viene prima di ogni altra cosa e che, certo, svolgi un lavoro ed è il lavoro che ti mantiene in vita, ma il lavoro è appassionante e questo è ciò che realmente ti interessa; che, certo, scrivi e pubblichi libri, ma poterne parlare e discuterne con le persone è un guadagno maggiore dei diritti che puoi ricevere, e se i libri non scalano le classifiche mondiali amen; che, certo, la notorietà cresce al crescere delle apparizioni pubbliche, ma quello che conta è incontrare la gente, le persone, conoscere, scambiare, far circolare.
Per questo lavorare con Laura, che è anche una cara e storica amica, è un punto fermo.
Laura Pigozzi dimostra (non solo lei, ovviamente, ma purtroppo non molti altri nella sua posizione), che oggi le persone possono esprimersi attraverso diversi mezzi e canali, ma mostrandosi realmente come sono, non per “penetrare un settore di business”, ma per agire e incidere in un contesto, insieme agli altri. È una visione ed è la visione storica di Laura. È anche una visione politica, diciamolo francamente.
Non parlo solo di professionisti verticali, ma di figure che integrano diverse sfaccettature della loro vita e delle loro passioni in modo autentico. In questi casi la comunicazione non è una maschera, ma riflette la complessità e l’autenticità del soggetto (e anche le contraddizioni, perchè no?).
Per esempio Laura stessa scrive i suoi post e decide come intervenire, non esiste nessun “piano marketing” o “editoriale”, nessuno parla o risponde al suo posto. Quando abbiamo iniziato ad affrontare il tema del suo storytelling, la sua “comunicazione” era frammentata su diversi canali: un sito per il canto, uno per la professione, un blog da una parte, al loro interno molta disorganicità, profili social centripeti, ecc. Eppure Laura è una, una identità con diverse espressioni e sfaccettature, sicuramente, ma è sempre una.
È come un invito a cena
Tu inviti una persona a casa tua, diciamo a cena.
Diciamo che questa persona è un ingegnere meccanico, tu anche sei un ingegnere. Che cosa fai? Chiudi a chiave lo studio nel quale dipingi affinché non possa vedere questo lato di te? Fai preparare la cena a tuo marito o tua moglie perché starai sul pezzo delle tematiche legate alla meccanica? E quando inviterai l’amico scultore che farai? Chiuderai la stanza che contiene il tecnigrafo?
Nella vita reale non fai così.
Quando qualcuno entra a casa tua (in effetti cosa abbastanza rara di questi tempi), vede chi sei, coglie il tuo stile, la tua essenza, la tua sensibilità, la tua ospitalità, la tua cortesia, perfino la tua educazione, il modo di porti, la tua “eleganza” (non nel senso dei marchi che indossi, per carità).
Bene, Laura questa “casa” non l’aveva. Quindi siamo partiti proprio da lì: dall’avere una casa, cioè una landing page, un luogo semplice, essenziale, ma dove c’è tutto, c’è “tutto Laura“. E la casa è un luogo che non propone nulla, non vende nulla, non ti dice di fare questo o quello, è un semplice invito a cena. Un umanissimo e banale invito a cena, metaforicamente parlando.
È così che funziona nel mondo social oggi?
Mica tanto.
Oggi non esistono “case”, luoghi di accoglienza intimi e personali nei quali sei invitato, ma cantieri per costruire palazzi sempre più imponenti, dove a te – visitatore – ti cade addosso tutto, una valanga che ti investe per imbrigliarti, per “catturare il gonzo sul boulevard” (Baudelaire), o per affermare a tua esistenza prima e sopra quella degli altri.
Per questo un’altra scelta che abbiamo fatto, oltre a questa “organicità – varietà” (ma non frammentazione), dell’invito a cena della sua presenza sociale, è di costruire un podcast semplice e naturale, senza fronzoli.
Un podcast sui generis? No, naturale e indipendente
Laura parla a un microfono da dove si trova, e a distanza registriamo la puntata tramite Zoom e DaVinci (io dal mio studio), per poi pubblicarla tramite RSS.com e da lì in tutti i canali. Non ci sono effetti speciali, montaggi articolati, c’è solo una sigla iniziale e finale (che è cambiata alcune volte perché non è mica vietato o disdicevole sperimentare e cambiare strada facendo), non ci sono tagli delle pause, o tagli rimontati in generale.
Perchè non si va in studio? Perché non ci sono tecnici e assistenti? Perché non ci sono colonne sonore, effetti, rielaborazioni, insomma, perché non c’è una classica “post produzione“?
Semplice: perchè Laura parla alle persone come se fosse a casa sua a cena, con la porta sulla stanza dove dipinge ben aperta, con il pianoforte grazie al quale canta in bella vista, con il lettino e la poltrona del suo lavoro proprio lì accanto, con il profumo della cucina (più di Enrico direi che sua, diciamo la verità…), i fiori un po’ ovunque, cani e gatti e tutti quanto…
Questa semplicità “rudimentale” è un problema per gli ascolti?
No perché lo scopo del podcast non è avere ascolti.
Come come? Certo che è bello essere ascoltati e invitare gli ad ascoltarti, questo lo sanno tutti. Ma il podcast esiste per stare con le persone, per offrire loro qualcosa e avere uno scambio, è costruito per passione.
Poi, certo, andando avanti ci siamo detti: “Possiamo migliorare un po’ senza complicarci la vita?” Non era semplice perché, essendo Laura sempre in giro e molto impegnata è sempre difficile mettersi lì con attrezzature nuove, cose da collegare, portarsi appresso, ecc. ecc. Giustamente.
Però Laura è anche una cantante e insegnante di canto. Questa è stata una fortuna! A un certo punto abbiamo detto: “Abbiamo fatto un mucchio di trasmissioni, facciamo un salto di qualità, qualche altro esperimento.” Laura ha scovato un suo microfono storico (forse di quando cantava in crociera?), ancora in grado di fare il suo lavoro, abbiamo scelto una scheda audio appropriata, leggera, easy e adatta alla sua voce (una Universal Volt) e dopo la prima stagione realizzata con il microfono del computer portatile, la qualità è cambiata. Da questo punto di vista è utile soprattutto per non affaticare le orecchie di chi ascolta. E anche per il podcaster, infatti un po’ per volta impari e vai avanti migliorando, come quando impari a disegnare, a giocare a tennis, o a camminare in montagna. È la stessa cosa, vivila come una passione in evoluzione, la voce te lo permette, lo permette a chiunque (sto parlando a te, lettore!).
Ma il tema più importante è sempre quello degli argomenti trattati e del modo con i quali trattarli, non certo quello di una perfezione fine a se stessa che si può (o si deve?), anche evitare di raggiungere.
Questo vuol dire che è meglio essere sempre così semplici, naturali e essenziali?
No, dipende. Come dicevo Laura è anche cantante, ha frequentato palchi e preparato allievi importanti, cantanti di successo. Conosce la sua voce e questo è stato, effettivamente, un vantaggio straordinario di cui non tutti, purtroppo, possono disporre.
Per conoscere la propria voce, per saperci fare con la propria voce, un supporto tecnico può essere molto utile e, anzi, lo consiglio caldamente, non solo per realizzare una buona trasmissione, ma soprattutto per avere più affinità con una parte di se stessi. Così come è utile anche per chi vuole creare dei racconti con tutta la suspense e l’atmosfera possibile di un paesaggio sonoro adatto. Allora lavorare in studio sarebbe senz’altro utile.
Quello che però voglio rimarcare è che bisogna partire sempre, per qualsiasi storytelling e produzione di contenuti testuali e audiovisivi, dal soggetto, dalla sua essenza, dal suo filo rosso, dalla sua unità, poliedricità, verità, essenza, anima, chiametala come volete – avete capito – e non da: “Qual è il tuo target?” “Quali sono i tuoi obiettivi?” “Quali risultati vuoi ottenere?” “Come ti vuoi posizionare?” “Come sono andati i KPI?”
Che tristezza questo, che poi è solo marketing, il cui scopo è ridurre l’uomo e i suoi talenti a merce da vetrina.
Sentirsi parte del mondo, non calcolare statistiche
Con Laura non abbiamo mai neppure in una occasione parlato di questi temi: non interessano né a me, né a lei. Non ci interessa neppure il SEO (Laura non scrive in base al SEO o ad altre tecniche pubblicitarie, scrive quel che sente basta perché preserva la sua totale indipendenza) e non ci occupiamo delle KPI. Magari un giorno lo faremo, più per curiosità che per altro, vedremo.
Invece è bello vedere, dai report automatici di RSS.com (la piattaforma che eroga il podcast), la cartina del mondo con tutti gli ascolti del podcast. È bello non per dire: “Sono famosa mi ascoltano in Argentina!” Ma perché ci si sente parte del mondo, ci si sente a contatto con gli altri su una scala incredibile. È una soddisfazione.
Aiutare il soggetto, insieme a lui, a costruire qualcosa che… già gli appartiene
Il mio compito è semplicemente quello di aiutarla (lei e in genere chiunque si rivolga a me per concepire il suo storytelling), a costruire una narrazione coerente che “unisse i pezzi”, diciamo così, per rappresentarla nella sua interezza (essenza), per fare qualcosa che già esiste.
Cioè non solo come psicologa, ma anche come artista, autrice e persona appassionata di umanità, come “donna” completa e piena. Per questo, per prima cosa, abbiamo lavorato per creare una landing page, la “casa” per un invito a cena che si è quindi articolato nei social in modo un po’ per volta diverso e poi nel podcast, che è venuto dopo (il podcast compie due anni nel 2025) per stabilire un contatto autentico, emotivo, attraverso la voce.
Come dicevo Laura è autrice di se stessa, senza intermediari e senza sponsorizzazioni e proventi, pur avendo centinaia di migliaia di ascolti e una presenza ben radicata nei social (anche dal punto di vista dei numeri che interessano tanto le agenzie).
Niente piani
Lei e io parliamo degli argomenti da trattare nel podcast perché ogni autore ha bisogno di un minimo di confronto, ma è tutto qui, non creiamo un “piano editoriale”, come dicevo. Che senso avrebbe? La realtà, che è composta da eventi e persone che agiscono e irrompono sulla scena tutti i giorni e forniscono innumerevoli occasioni di riflessione, continui stimoli, idee, materiali. E poi un’altra grande passione di Laura è la filosofia (è laureata in filosofia morale), è abituata a riflettere e a interrogarsi su qualsiasi cosa.
Perciò il confronto avviene su un piano generale, orientativo ma è lei stessa che scrive, organizza, decide, pubblica nei social, parla con la sua “community”. Non potrebbe essere diversamente perché non c’è finzione. Certo, qualche lettore potrebbe dire: “Per forza non c’è finzione, una psicologa finta che psicologa sarebbe”?
Giustissimo, ma la verità deve essere colta al contrario: Laura non è finta e per questo quello che “produce” non è ascrivibile alla categoria della finzione (categoria dominante della comunicazione mediatica sociale), e per questo fa quello che fa e adora la sua professione! Potrei dire che in questo mondo mediatico assillante è una specie di sano ritorno alla normalità.
Eppure sanno che non è semplice realizzarlo perché occorrono degli antidoti, dato che il “pubblico” viene travolto da una comunicazione di massa stereotipata e volta al consumo che fa, letteralmente, “perdere la bussola”, l’orientamento o, se volete, lo spirito critico, la propria indipendenza, ti tira per la giacca verso il baratro del mercato e dei modelli comunicativi da applicare.
Insomma… un gran bel mucchio di robaccia, preferibilmente da evitare.
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