Alberto Pian

ISOLE NELLA CORRENTE. IL GIOCO DEI SENTIMENTI IN UN ESEMPIO DI HEMINGWAY

Ci concentriamo sull’idea che i sentimenti non devono necessariamente essere esplicitati attraverso parole o lacrime; piuttosto, possono essere trasmessi attraverso le azioni e le reazioni dei personaggi. Da un incontro che ho tenuto a distanza.

Il Capitolo XIV

Il tema principale del capitolo quattordicesimo di “Isole nella corrente” di Hemingway è la profonda infelicità e il dolore causati dalla perdita. In questo capitolo, il protagonista Thomas Hudson riceve un telegramma che comunica la morte di due suoi due figli, David e Andrew, in un incidente stradale.
La narrazione di Hemingway evita descrizioni emotive dirette, ma il dolore di Hudson è palpabile attraverso il suo comportamento e le sue interazioni con gli altri, in particolare con Eddie, il suo amico e aiutante.

In sintesi, il capitolo esplora la complessità del dolore e la difficoltà di affrontare la perdita, sottolineando come i sentimenti possano essere comunicati in modi sottili e non verbali.


Quindi spoileriamo, lo dobbiamo fare per forza. Perché altrimenti non riusciamo a parlare di quello di cui vogliamo parlare. Allora, ve lo leggo e poi ne parliamo un attimo insieme.

Thomas Hudson è il protagonista di queste vicende. Ah, dicevo, il capitolo quattordicesimo è il capitolo conclusivo della prima sezione del romanzo. Il romanzo è diviso in tre sezioni. è stato pubblicato postumo e la prima parte è stata scritta dallo stesso Hemingway, mentre le altre due sono il risultato di un lavoro compiuto dal figlio sulla base di testi incompiuti e appunti. I ragazzi di cui si parla sono i suoi figli, diretti e indiretti.

Commento al testo

«Appena i ragazzi furono partiti, Thomas Hudson si sentì subito infelice.»

Qui si esprime direttamente un sentimento di infelicità. Non ci sono altre espressioni analoghe precedenti. Il rapporto con i ragazzi è stato raccontato basando su ciò che è avvenuto durante il soggiorno. Adesso Tom prova un sentimento di infelicità che mostra il legame con i suoi figli. Si chiude un capitolo di questa storia poiché Tom torna a essere di nuovo solo in quell’isola.,

« Ma credeva che fosse la solita nostalgia che provava per loro e continuò semplicemente a lavorare. La fine del mondo privato di un uomo non arriva mai come in uno dei grandi quadri immaginati dal signor Bobby. Arriva con uno dei ragazzi dell'isola che portano su per la strada un radiotelegramma dell'ufficio postale del luogo e dice: «Firmi sulla parte staccabile della busta, per favore. Ci rincresce, signor Tom».
Al ragazzo diede uno scellino. Ma il ragazzo lo guardò e lo depose sul tavolo.
«La mancia non la voglio, signor Tom» disse il ragazzo, e uscì.
Lo lesse. Poi se lo mise in tasca e uscì di casa e sedette sulla veranda che dava sul mare. Tirò fuori il modulo del radiotelegramma e lo rilesse. SUOI FIGLI DAVID ET ANDREW UCCISI CON LA MADRE IN INCIDENTE STRADALE PRESSO BIARRITZ STOP IN ATTESA SUO ARRIVO PROVVEDIAMO NOI A TUTTO STOP LE NOSTRE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE. Era firmato dalla filiale parigina della sua banca di New York.»
Allora, qui è la comunicazione della morte di suoi due figli, quelli che se ne erano appena andati dall’isola.

Thomas Hudson vive in un’isola dei Caraibi e i figli lo sono venuti a trovare. Tom è separato dalla moglie e non li vede spesso.
Come vedete in questo brano non c’è l’espressione di un dolore, e cercheremo di capire che cosa vuol dire questo aspetto. Pensate che, addirittura, questo telegramma è stato inviato dalla filiale Parigina della Banca di New York, cioè da un’istituzione che può essere, credo, una delle istituzioni più lontane al mondo da qualsiasi tipo di sentimento: una banca!

«Eddy uscì all'aperto. L'aveva saputo da Joseph che l'aveva saputo da uno dei ragazzi nella baracca della radio.»
Eddie, chi è? Eddie è, diciamo così, l'aiutante di Tom, che vive con lui e si occupa di tante cose, cucina, fa da mangiare, si occupa della barca, la pesca, è una persona che ha anche stretto una grande amicizia, oltre a essere un suo dipendente.
«Eddy sedette vicino a lui e disse: «Merda, Tom, come possono accadere cose simili?».
«Non so» disse Thomas Hudson. «Si saranno scontrati con qualcosa o qualcosa avrà investito loro.»
«Scommetto che non c'era Davy al volante» disse Eddy.
«Anch'io. Ma ormai non ha più importanza.»
Thomas Hudson guardava lontano, verso l'azzurra distesa del mare e l'azzurro più cupo del Golfo. II sole era basso e presto sarebbe sparito dietro le nuvole.
«Crede che al volante ci fosse la madre?»
«È probabile. O forse avevano un autista. Che differenza c'è?»
«Non pensa che potrebbe essere stato Andy?»
«Chissà. Sua madre potrebbe averglielo permesso.»
«È abbastanza presuntuoso» disse Eddy.
«Era» disse Thomas Hudson. «Ormai non credo che lo sia più.» Dietro le nuvole, il sole stava tramontando.
«Mandiamo subito un telegramma a Wilkinson perché venga qui al più presto e mi prenoti un posto su uno degli aerei per New York.»
«Cosa vuole che faccia mentre è via?»
«Bada alla roba, e basta. Ti lascerò un po' di assegni per ogni mese. Se arrivano delle tempeste, per la barca e la casa fatti aiutare da qualcuno.»
«Farò come dice lei» disse Eddy. «Ma non m'importa più di un cavolo di niente.»
«Neanche a me» disse Thomas Hudson.
«Rimane Tom junior.»
«Per il momento» disse Thomas Hudson, e per la prima volta spinse lo sguardo fino in fondo alla lunga e perfetta prospettiva dell'ampia e deserta distesa che aveva di fronte.
«Ce la farà benissimo» disse Eddy.
«Certo. Quando mai non ce l'ho fatta?»
«Potrebbe fermarsi un po' a Parigi e poi andare nella casa di Cuba, e Tom junior potrebbe farle compagnia. Può dipingere bene, laggiù, e il cambiamento le gioverà.»


Thomas Hudson è un pittore. Raffigura il personaggio di Hemingway, però nel rcconto è un pittore.

«Certo» disse Thomas Hudson.
«Lei può viaggiare, e questo le farà bene. Prenda uno di quei grossi bastimenti come quelli sui quali ho sempre desiderato fare un giro. Uno per uno, li prenda tutti. E si faccia portare dove vanno. Qualunque posto sia.»
«Certo.»
«Merda» disse Eddy. «Perché diavolo è toccato proprio a Davy?»
«Lasciamo perdere, Eddy» disse Thomas Hudson. «Sono cose che non sapremo mai.»
«All'inferno tutto quanto» disse Eddy, e si spostò il cappello sulla nuca.
«Giocheremo fino alla fine meglio che possiamo» disse Thomas Hudson. Ma ormai sapeva che la partita non lo interessava più.

Penso che abbiate notato che la perdita dei due figli (su tre) Thomas Hudson e il suo amico aiutante Eddie, che era molto affezionato a questi ragazzi, non esprimono in questo testo, che è il capitolo conclusivo della prima parte di questo romanzo, un sentimento chiaro.
Non c’è l’espressione visibile di un sentimento.

Le domande nel testo sono queste: Chi l’ha investito? Chi guidava? Che cosa succederà? Non c’è una lacrima non ci sono termini come «triste», non ci sono segni di «disperazione», non c’è niente di tutto questo, non c’è assolutamente nulla.
Eppure si tratta di un evento tragico che non può non tirare in causa dei sentimenti.

Che lezione ricaviamo da questo?


Esattamente questo tipo di lezione: che per esprimere dei sentimenti non è necessario raccontarli e manifestarli con parole precise.
Non è necessario. Non è necessario dire che Tom è disperato per la morte dei figli nel momento in cui i figli muoiono, per mandare al lettore la disperazione di Tom.
Perché?

Perché tutto il racconto, dove non c’è mai l’espressione di un sentimento conclamato, è esattamente attraversato da questi sentimenti, cioè dal rapporto che lega Eddie e Thomas a questi tre ragazzi.

Un dialogo istruttivo

Leggiamo questo dialogo del capitolo 7, quando Eddie esce dal pozzetto con la pentola di patate in una mano e il coltello nell’altra.
Sono tutti in barca, sono andati a pescare, c’è l’alta marea. Alta marea significa che gli squali possono arrivare vicino alla costa. I ragazzi hanno voluto fortemente questa uscita.

“Eddy uscì nel pozzetto con la pentola piena di patate in una mano e il coltello nell’altra.
«Prenda quel buon fucile, signor Tom, quello piccolo che ha lei, e vada sul ponte superiore» disse. «Non mi piace, ecco tutto. Mi piacciono poco i ragazzi laggiù con questa marea. Siamo troppo vicini all’oceano, quello vero.”
Vedete che non c'è indifferenza. Thomas e Eddie non sono indifferenti, seguono i tre ragazzi. Eppure, il romanzo sembra chiudersi nella più totale indifferenza.
Il dialogo continua:
“Facciamoli tornare a bordo.»
«No. Magari sono io che sono un po’ nervoso. Brutta notte stanotte, comunque. Gli voglio bene come se fossero figli miei e mi fanno stare molto in pena.» Depose la pentola di patate. «Le dirò cosa faremo. Lei avvii il motore e io salpo l’ancora e andremo ad ancorarci più vicino alla scogliera. Non correrò nessun pericolo, col vento e con questa marea. Muoviamoci.”

«Gli voglio bene come fossero figli miei» è un’affermazione.

Non è scritta per esprimere un sentimento, esattamente come l’infelicità iniziale di cui abbiamo parlato è una constatazione di fatto.

“Gli voglio bene fossero miei figli” ha lo scopo di giustificare le preoccupazioni di Eddie. Eddie si preoccupa molto e si sente in colpa, conosce l’oceano, conosce quel punto preciso e sa che bisogna agire, se non lo facesse sarebbe responsabile. Non c’è espressione affettiva «romantica» o affettata, c’è l’esternazione di una preoccupazione.

“Ora sì che possiamo tenerli d’occhio» disse Eddy, ritto a prora. «È come un chiodo nel cervello, il pensiero di questi ragazzi. Mi rovina la digestione, perdio. Già cattiva com’era.»
«Starò io quassù a sorvegliarli.»
«Allora le passo la carabina e torno a quelle maledette patate. Ai ragazzi piacciono le patate in insalata, no? Come le facciamo noi?”

Quindi Thomas si colloca sulla prua dell’imbarcazione con un fucile in mano, mentre i ragazzi pescano a una ventina di metri da lui, e Eddie dice: «starò qua su a sorvegliarli».

E Eddy dice: «allora le passo la carabina e torno a quelle maledette patate. Ai ragazzi piacciono le patate in insalata, no? Come le facciamo noi?»

Vedete che cosa si mette in moto qui?

Si mette in moto un sentimento molto profondo nei confronti di questi ragazzi, un sentimento che non viene mai conclamato, non c’è una parola che lo esprima in termini chiari, ma nel momento in cui Eddie prepara le patate e porge la carabina e quindi si dividono i compiti per rifocillare e per mettere a proprio agio questi ragazzi, allo stesso tempo li sorvegliano e li proteggono.
Che cos’abbiamo?
Abbiamo l’espressione di profondi sentimenti e quindi una grande lezione: che davvero non è necessario conclamarli.
Le emozioni sì: «che spavento!» I sentimenti no.

Il sentimento esiste attraverso i fatti


Allora ecco perché il capitolo 14 si chiude nel modo in cui abbiamo visto.

Per il fatto che non c’è bisogno di inserire né lacrime, né aggettivi strampalati, né di strapparsi i capelli, perché è tutta la storia che parla, che ha parlato.
È una storia nella quale i rapporti tra questi soggetti sono basati sui sentimenti. E le azioni ce si sussegiono, dato che ci sono tante azioni in questo romanzo, hanno come fondamento proprio questo.
Allora ci troviamo di fronte al fatto che il sentimento della perdita di questi ragazzi è così grande che non può neanche essere trattato. Non si può dire nulla e nulla deve essere detto. Finisce così.

“Merda» disse Eddy. «Perché diavolo è toccato proprio a Davy?»
«Lasciamo perdere, Eddy» disse Thomas Hudson. «Sono cose che non sapremo mai.»

Il dolore è così vasto, così ampio, che non può neanche essere menzionato e impedisce perfino di indagare.

«All’inferno tutto quanto» disse Eddy, e si spostò il cappello sulla nuca.
«Giocheremo fino alla fine meglio che possiamo» disse Thomas Hudson. Ma ormai sapeva che la partita non lo interessava più.”

Giocheremo, perché la vita è un gioco, perché a questo punto cos’è la vita, se tu lasci i tuoi tre figli il giorno prima e poi ti arriva un telegramma di quel genere, che te ne toglie due?

E questo, signori è Ernest Hemingway, cioè uno dei più grandi scrittori, che ha creato proprio questa modalità di narrazione, nella quale le persone agiscono e quello che viene trasmesso, i sentimenti, le emozioni la loro parte intima, non è mai proclamata o descritta, perché è la storia stessa che parla al lettore.

Ora voi sapete che ci sono questi Instagrammer, scuole e associazioni che insegnano scrittura, commentano romanzi. Ho letto un post che diceva:

«La mia agenzia letteraria mi ha consigliato di leggere un tale Hemingway.»

Ed evidentemente questo aspirante scrittore non aveva mai neppure sentito nominare Hemingway, figuriamoci analizzare dei testi, dei testi classici della letteratura mondiale!

È incredibile. Per raccontare ci vuole cultura, bisogna aver letto, bisogna studiare. Non puoi metterti lì, seguire una cosiddetta scuola di scrittura cretiva (la scrittura, per definizione è un atto creativo), o qualche Instagrammer che vende coach e corsi di narrazione, applicare quattro regole e pensare di aver scritto delle storie.

Devi masticare letteratura, se vuoi raccontare: devi analizzare centinaia di film all’anno, se vuoi fare film. Devi leggere migliaia di romanzi, approfondirli, capirli. Il motivo è che devi interiorizzare dei modi di raccontare che poi magari non saranno neanche i tuoi, perché potrai raccontare in un modo completamente diverso da quelli che hai conosciuto e approfondito. Però è così che si deve fare, è questa ricerca continua.

Allora, che cosa dite voi?

OSPITE 1: Fin dall’inizio questo testo già era intenso, intensissimo. Anche il ragazzo che porta il telegramma non dice qualcosa, ma quello che fa esprime veramente la sua partecipazione.

Quello che fa. Giusto, non dice niente, ma che cosa fa?

OSPITE 1: Non accetta lo scellino.


Non accetta lo scellino. Un gesto molto piccolo che esprime la grandezza del dramma.

OSPITE 2: Quindi non capisco come si possa voler raccontare senza conoscere Hemingway, per dire. Ma a parte Hemingway ce ne sono anche tanti altri da conoscere.

OSPITE 3: Per quanto riguarda la persona comune va bene, non c’è nessun problema a ignorare i grandi classici della letteratura mondiale. Ma se fai di mestiere lo scrittore (o aspiri a tale mestiere) evidentemente ci sono dei problemi.

Torniamo a questo: perché a volte non è necessario raccontare i sentimenti?

Ma perché noi siamo esseri umani e normalmente, tranne qualche psicopatico, diciamo che, normalmente, gli esseri umani sono esseri umani, cioè persone che provano sentimenti.
Siamo abituati a provare sentimenti. Sarebbe come spiegare l’addizione a uno che l’addizione la conosce a memoria.

Non gli spieghi l’addizione, giusto? Non la nomini neanche.

L’alfabeto che forma la lingua dei sentimenti è qualcosa che noi dovremmo conoscere, o semplicemente provare spiritualmente e quindi riconoscere. È qualcosa che appartiene all’essere umano. Per cui, partiamo da qui:

“Come possiamo raccontare e costruire le storie in modo da portare semplicemente alla luce ciò che l’essere umano possiede?”


OSPITE 4: È un tema interessante, intrigante, qualche cosa che ci spinge a cercare, che ci spinge a capire, a esplorare, a vedere e che ci spinge ovviamente a mettere in gioco anche i nostri sentimenti, chiaramente.
Riflettevo, appena abbiamo letto questo brano, un’attività che faccio sempre con i ragazzi, proprio basata su una storia breve di Hemingway, che è Gatto sotto la pioggia, realizzo un gioco psicolinguistico di lettura e poi anche di scrittura creativa, cioè praticamente i ragazzi interagiscono con la storia e provano cosa significa anche lavorare sulle aspettative che vengono sistematicamente smontate. Ovviamente io insegno letteratura inglese, quindi il lavoro lo faccio in lingua inglese. Ed è molto bello vedere come loro provano un poco anche a imitare la scrittura di Hemingway, che è molto semplice, con molta punteggiatura, soggetto verbo complemento.

Ma certo, assolutamente. Quello che fai è eccellente. Il consiglio che io do è sempre evitare come la peste di trasformare «fare l’analisi di un testo», cioè di cercare in un testo in una storia le strutture ricorrenti e, addirittura, ricondurle a un dato autore: «Hemingway fa questo in questo modo, Strindberg fa quell’altro con questo schema», perché lì poi si scade nel tecnicismo e si riducono gli autori a stereotipi.

OSPITE 4: Concordo, non faccio mai l’analisi del testo, e invece piace molto ai ragazzi ciò che gli propongo


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