UNA GRANDE STORIA DI FRANCIS SCOTT FITZGERALD
I due partono dal Connecticut diretti a Montgomery in Alabama dove risiedono i genitori di Zelda. Circa 2000 Km di viaggio fra i luoghi ancora un po’ selvaggi e ancora pieni di problemi razziali post American Civil War, la guerra civile fra sudisti e nordisti. La giovane coppia vorrebbe fare una sorpresa ai genitori di Zelda, che durante il viaggio è molto contrastata. Zelda sente allo stesso tempo di provare attrazione e repulsione per la terra della sua infanzia.
I due sono giovani, bianchi, belli e squattrinati in una terra dove sono malvisti dai neri e dove la famiglia di Zelda faceva parte delle antiche famiglie bianche coloniali.
Così il viaggio diventa una piccola avventura, spesso molto comica. Infatti la Marmon è un “rottame vagante” (come dice Fitzgerald), che durante il viaggio “suona” una sorta di blues, una “sinfonia” tutta sua, fatta di strappi e sobbalzi, di rumori improvvisi, di rotture, di problemi, di arresti, di piccoli e grandi drammi
Il rottame vagante suona una sinfonia tutta sua e diventa un vero e proprio “compagno di viaggio”. Perfino ciascun pneumatico viene battezzato con un bizzaro nome.
Eh già! Il rottame vagante cade a pezzi un po’ per volta. Ma Fitzgerald e Zelda sono affezionati a quell’auto, simbolo di libertà, di viaggio, di ricongiunzione fra passato e presente e poi… l’auto è molto, molto “simpatica”, per così dire.
Il viaggio è anche un pretesto per scoprire il Sud dell’America e per raccontare del rapporto di amore, complicità e allo stesso tempo libero e leggero, che esiste fra Fitzgerald e Zelda.
Nel corso di questo viaggio l’auto rappresenta per loro una vera e propria compagna. Fitzgerald e Zelda si divertono perfino a battezzare le singole parti dell’auto che più si fanno sentire o che sono più instabili e soggette a rottura.
Perfino ciascun pneumatico riceve un nome piuttosto bizzarro: Babbo Natale, Ercole, Sansone e Lazzaro. L’auto non è un corpo meccanico, ma un personaggio meritevole di affetto, umano, antropomorfizzato.
Il dialogo fra Fitzgerald, Zelda e l’auto sarà continuo per tutto il viaggio:
“Il collasso di Sansone vicino al confine con la Georgia fu un accidente esclusivamente ironico. Il vecchio Lazzaro non se ne stava forse ancora aggrappato stretto alla ruota posteriore sinistra, ultimo superstite dei cinque pneumatici che avevano lasciato Westport con noi? Il prode Lazzaro con le sue chiazze lisce e le sue cicatrici, Babbo Natale, Ercole, Sansone, e anche lo pneumatico che avevamo abbandonato a Philadelphia perché il signor Bibelick ci facesse gomme da masticare, erano tutti saliti nel paradiso della gomma, dove chiodi e vetro non esistono e dove si è sempre ruote di scorta.”
Il rapporto con il “rottame vagante” è molto ironico, scanzonato e divertente.
Lo stesso con cui Fitzgerald e Zelda affrontano questo lungo viaggio. Ed è un racconto molto attuale, moderno, pieno di quadretti efficaci intorno a questo vero e proprio “rapporto a tre”:
“Questo specifico Rottame Vagante aveva già superato il fiore degli anni prima di finire nelle nostre grinfie. In particolare aveva la spina dorsale rotta, rimessa in salute senza successo, e il fastidio alla schiena che ne era stato conseguenza gli procurava un palese sbilanciamento su un fianco; in aggiunta soffriva di vari disturbi intestinali cronici e astigmatismo avanzante su entrambi i fari. E tuttavia, seppure esile e traballante, sapeva essere dannatamente veloce. Per quanto riguarda le appendici, aveva usato talmente poca cura nei propri confronti che si era liberato di tutti gli arnesi superflui con l’eccezione di un vetusto cric e una chiave inglese che, se usati in congiunzione, avrebbero potuto sostituire una gomma bucata con una nuova.”
(…) “Dopo una sequenza tormentata e interminabile di sobbalzi infernali e pazzi, durante i quali la macchina o il pezzo su cui eravamo ancora seduti andava alla velocità spaventosa di venti miglia orarie, agguantai il freno d’emergenza. Ma quello giustamente, data la gravità dell’emergenza stessa, si rifiutò di funzionare. Infine compresi che l’intera parte posteriore della vettura stava strisciando sulla strada. Vicino a me Zelda si produceva in suoni curiosi e incoerenti e mi aspettavo da un momento all’altro di essere sollevato in cielo da una colonna di fuoco e di venire offerto sacrificato in nome di un olocausto petrolifero.
(…) Dopo quello strappo fragoroso passarono almeno due minuti infuocati prima che il Rottame Vagante si fermasse con un ultimo, terribile, scossone.
«Scendi! – urlai a Zelda – Sbrigati, cazzo! Sta per esplodere!»
Nella calma improvvisa, il fatto che lei non si muovesse e rimanesse silente, emettendo soltanto uno strano e lamentoso mugugno, lo associai a sinistri significati.
Quando l’auto emoziona ti parla con la sua musica, proprio come un compagno di viaggio
«Ma non capisci? Smonta! Si è staccata la ruota! Abbiamo strisciato sull’asfalto! Scendi!»
Improvvisamente la mia ansia si tramutò in rabbia. Stava ridendo? Stava ridendo! Un’ilarità incontrollabile la piegava in due. La spinsi precipitosamente fuori dall’auto, trascinandola e minacciandola, fino a una distanza di sicurezza.
«Buon Dio! – dissi senza fiato – Si è staccata la ruota, capito? La ruota… se n’è andata!»
«Lo so, ho visto!» urlò Zelda, scossa dalle risate.
«Non c’è più.»
Mi voltai dall’altra parte, per lo più disgustato. Il Rottame Vagante, che tremava ancora vagamente, era piombato in un silenzio inquietante. Alle sue spalle, più di duecento yard tracciate di scintille. Più per nervosismo che per una vera ragione cominciai a trottare come un cane rachitico nella direzione presa dalla ruota e dal pneumatico saltato: era proprio Babbo Natale. Avevo il vago sospetto che nel frattempo avesse raggiunto il Campidoglio “che avesse annunciato il nostro arrivo al portiere del New Willard. Mi sbagliavo. Raggiunsi Babbo Natale a due isolati di distanza. Se ne stava tranquillo su un fianco, assopito e innocente, apparentemente privo di danni evidenti. Nel buio gli si erano radunati attorno circa una decina di bambini, che guardavano prima lo pneumatico e poi il cielo ormai stellato. Forse credevano che Babbo Natale fosse un frammento di meteorite caduto dal paradiso.”
Può sembrare strano parlare di un premio Nobel per la Letteratura e di due icone dell’ “età del Jazz” come Fitzgerald e Zelda, oggi che sulle automobili c’è una narrazione sterminata?
Assolutamente no. Le automobili vintage evocano sentimenti, immaginazione, emozioni, passioni, come “il rottame vagante” che suonava il suo strano blues nell’America degli anni venti. Questo blues attraversa problemi razziali e sociali, diffidenze e pregiudizi radicati, parla della città americana e dei suoi intellettuali e della gretta provincia e tutto questo lo fa senza appesantire il racconto, senza moralismi, in una visione originale nelle quali il mondo reale si muove lungo il percorso dell’automobile, che suona il suo blues fracassone.
Oggi che cosa è cambiato? Certo, le auto non si avviano più con la manovella, ma tutto ciò che le circonda e che specialmente circonda le auto è diventato banale, non stereotipato ma addirittura identico, una all’altra, un marchio all’altra, una narrazione all’altra. I costruttori di automobili, le riviste che ne parlano, i commentatori che commentano, i pubblicitari, sembrano tutti aver portato il cervello all’ammasso. Eppure questo racconto mi ricorda che dietro ogni “oggetto” può covare intatto e vivo il movimento delle passioni, le vere passioni, l’amore, il vero amore, perché non spengono mai il loro fuoco e la loro musica e anche un oggetto con quattro ruote, può esserne il veicolo, a patto di saper raccontare una storia, ovviamente (e saper progettare un’auto o, meglio, saper uscire da questo prodotto per creare qualcosa di diverso e da un’automobile).
Però, restando sul terreno della narrazione nel settore automobilistico (a me interessa così poco il mondo dei motori che non so neppure se la mia moto ha un carburatore e si raffredda ad aria o acqua, mi piace solo guidarla!), da tempo immemorabile questa scivola su un piano utilitaristico e finalizzato, legato al consumo, al prodotto, alle battaglie che schiere di “comunicatori” e “storyteller” e “creatori di contenuti” ingaggiano per farsi sentire ma… sempre nello stesso identico modo. Certo, non possiamo pretendere che tutti siano dei Fitzgerald, ma neanche che rimangano nei bassifondi della comunicazione di massa, vincolata ai grandi network e ai loro banali schemi riproducibili.
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